Da sempre l’opera d’arte ha a che vedere con il tempo.
Essa è incarnazione di un attimo di vita, ne è testimonianza e interpretazione, spesso poesia. Giuseppe Sicuranza appartiene alla schiera di artisti che, coscienti della realtà storica e dei linguaggi di cui è permeata, stabilisce una connessione con la memoria attraverso la rappresentazione della parola e la sua “fisionomia”. Ogni lettera alfabetica firma la propria identità rigenerandosi, sfuggendo dall’usuale codice di riconoscimento per assumerne uno nuovo, captabile attraverso una sincronia di linee e forme che della stessa parola è evocazione, ritratto stesso. Figura.
L’intreccio stilistico per Giuseppe Sicuranza è una condizione indispensabile per permettergli l’ascolto sociale. La sua pittura, il suo segno, implicitamente complici del tempo, mirano ad intercettare e conservare la pregnanza stessa delle cose, il loro rapporto con il transito della nostra presenza, rivelandoci una nuova identità, dentro e fuori dal loro tessuto temporale. Giuseppe Sicuranza accetta la sfida con il proprio tempo contando sulla propria esemplarità, frutto di una perizia tecnica volutamente perfezionistica, dove ogni pennellata, ogni reticolo di segni è cartografia mentale, codice da interpretare, cabbala. Uno schema ideologico che diventa circuito di riferimenti interni ed esterni, conducendoci, attraverso il momento estetico, allo svelamento del tempo a all’impercettibile traccia del suo passaggio.
La parola, e le lettere alfabetiche da cui è composta sono i protagonisti di un’opera pittorica che, nonostante l’uso proprio dei grafemi, ne cela il riconoscimento, posticipando la lettura ad uno sguardo più attendo e complice. L’opera si pone come richiamo inconscio di una parola o frase che sa svelarsi solamente ripercorrendone il profilo, la fisionomia, come dinnanzi ad una coltre di nebbia che nasconde un volto conosciuto, e solamente al suo dissolversi possiamo riconoscerne le fattezze. Ecco, nel momento della rivelazione ci sentiamo complici del quadro, debitori di quel “varco” tanto agognato tra artista e spettatore.
Giuseppe Sicuranza è innanzitutto un alchimista, un abile trasmutatore di forme, un calligrafo che usa il proprio scriptorum per elaborare il proprio opus Alchemicum. La parola s’inventa immagine, ogni lettera che la compone, con aspre torsioni ed evoluzioni si evolve, attraversando vuoti e pieni, situandosi in una qualsiasi direzione e situazione possibili, denunciando così la perdita della comunicazione semantica per assumere un valore figurativo, testimonianza di una metamorfosi di linguaggio che ci pone di fronte ad una inedita dicotomia di lettura.
(…) Una parola è come una ghianda da cui può nascere una quercia di significati (… ) Wittgenstein
La parola è immagine e l’immagine è parola. Una dicotomia monadica che è l’essenza stessa del pensiero artistico di Giuseppe Sicuranza, il quale conosce quanto la realtà sottenda un’anima di surrealtà che trascende il regno della metafisica intellegibilità. Citando Germano Celant: (...) Gli oggetti vivono nel momento di essere composti e montati, non esistono come oggetti immutabili, si ricompongono di volta in volta, la loro esistenza dipende dal nostro intervento e dal nostro comportamento. Non sono rapporti autonomi, ma installabili, vivi in rapporto al nostro vivere.(...)
Sia esso pittura o segno grafico, il percorso artistico di Giuseppe Sicuranza è sublimazione dell’emozione attraverso la meticolosità del gesto, la perfezione del tratto, la precisione di una pennellata che sfida l’occhio più minuzioso. Ma è anche materia cromatica, trasfigurante e struggente, microcosmo che grida al macrocosmo e viceversa. Conflitti e incontri mentali si fondono nell’incognita attesa di un evento che scaturisce là dove lo sguardo dello spettatore ne scorge la morfologia e ne percorre i rilievi come un esploratore circumnaviga con la propria imbarcazione un’isola sconosciuta per ricrearne i contorni sulla carta nautica.
Geografia di emozioni, reticolo di tracce subliminali dentro cui il flusso del tempo è illusoriamente solidificato in una apparente inerzia satura di vibrazioni. L’opera di Giuseppe Sicuranza parla profondamente di noi, utilizzando le parole per narrarci della nostra mutevolezza, mostrandoci con un inedito procedimento generativo estetico il nostro rapporto fra ordine (come senso razionale) e disordine (come energia vitale), ponendoci di fronte la dicotomia fra l’io e il mondo, dove la perdita d’identità è approdo al Tutto.
G.L. - 2018